SAN SALVO (Chieti), 28 LUG - Gli artisti erano
lì arrivati nel pomeriggio. Lunghe ore per posizionarsi e allestire i propri
lavori nella Pineta attigua al porticciolo turististico di San Salvo, alla
Marina. Poi, a tarda sera (giacchè la notte era ancora ‘giovane’ e incompiuta),
un forte vento di libeccio, prima a raffiche improvvise, infine sempre più
continuo e sostenuto, li ha portati via. D’un tratto sono sparite tele e
installazioni, artisti compreso. Mi dicono che l’iniziativa recava il titolo: “Arte
d’A mare”. Ma per gli artisti il “tema” era soltanto un’indicazione – mi è
stato precisato, giustamente - e ci mancherebbe che si possa dettare il fare e
cosa a chi per antonomasia è un creativo e nel suo fare specifico un padrone di
se stesso.
Non un fallimento di certo, ma un’esposizione assai breve, direi troppo. Solo in pochi, informati e/o occasionali, se ne sono accorti. Personalmente, pre-avvertito da uno degli espositori, ho avuto quell’oretta buona per osservare, informarmi, guardare e fotografare qua e là l’inaspettata performance di natura e d’arte, o altrimenti definibile di arte in ambiente e natura. Un “plein air” espositivo, ...finchè l’aria è divenuta eccessivamente protagonista anch’essa. Del resto, in natura, è a casa sua, anch’essa padrona, e fa quel che vuole. Dovremmo pensarci e adeguarci.
Ad ogni modo tale proposta di ‘offrire’ immagini d’arte in maniera insolita, non nuova e pur sempre stimolante, è da ripetere nel futuro con una maggiore e migliore organizzazione. Magari non in concomitanza di una notte sola (bianca o rosa che sia), destinata notoriamente al via vai, al trambusto, alle sonorità giovani ed esplosive, allo sbevazzamento progressivo, al mercato sempre ...
L’occasione è valsa,
comunque, per confrontarmi con una tela metri due per due di Davide Scutece: un
teatro urbano, uno dei suoi, per un musicista statunitense di cui non ricordo
il nome, tracciato con tratti svelti e ampi di pennello su un fondo acronomo di
biacca, e non meno con le tele dense e saturate di colore; con lacerazioni e
urgenze espressive e azioniste della pittrice Sara Quida, immersa nel mare
profondo delle sue idee informali; con l’iconicità pressoché etnica e vagamente
picassiana di un’artista proveniente dalla Sardegna;
con dei pesci in ceramica
di Ada Di Lello, concepiti per un domestico ripiano e messi lì, bocche
spalancate, penzoloni e come presi all’amo dal ramo di un rugoso e terricolo
albero. Più in là numerose barchette di carta piegata, come per un ritrovato o
mai abbandonato trastullo infantile, impigliate nelle corde tese tra un pino e
l’altro, o posatesi nell’erba scambiata per alghe, in attesa di un onda di mare
per tornare a navigare (e sono invece poi volate via, come piccoli aereoplani,
per il sopraggiunto vento). Proponenti anch’essi altri artisti, fra sculture di alabastro traslucido, tecno
luci led, ...in mancanza di lucciole (del resto difficilmente reperibili e
ammaestrabili per l’evento). Meritevoli
che fossero anch’essi di un incontro diretto, una dialogica parola, non ho
avuto il tempo di farlo, dopo un primo e fugace sguardo. Me ne dispiace e ad
essi devo le mie scuse. Pur con una personale riserva di fondo per questa come per analoghe ‘esposizioni’, che rischiano di porsi in e per una mescolanza impropria di valori estetico-formali con quelli ambientali, nell’occasione si ri-propone come possibile ed auspicabile l’azione civile e culturale di portare le opere (d’arte) fuori dalle “torri d’avorio” espositive,
frequentate dai soli ‘appassionati’ e “addetti ai lavori”. Portare l’arte alla gente, o richiamare la gente all’arte: dare idea alla società e ai suoi pubblici amministratori che la Bellezza (sia pure soltanto il decoro ‘abitativo’) va ricercata e realizzata da parte di tutti, per tutti e in ogni dove, naturalistico o urbano che sia. Compito non facile, si sa, soprattutto quando e se (come è più facile che sia) non è neppure pensato come valore e necessità dell’uomo, non meno che dell’ambiente.
Giuseppe F. Pollutri
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